lunedì 11 marzo 2013

10_scene da un (primo) colloquio

Dopo un post un pò pacco devo necessariamente ritirarvi su il morale.

Mi sono capitate tra le mani le vecchie agende e sono subito andata a sbirciare tra le pagine finali, dove, come una brava bambina affetta da disturbi ossessivo-compulsivi appunto (o meglio, appuntavo, perchè erano annunci che mi interessavano e valeva la pena di segnare...oggi questo non accade più purtroppo), ma comunque, dicevo, appuntavo tutte le offerte di lavoro a cui mi ero iscritta.
Bei tempi quelli in cui ancora c'era qualcosa a cui rispondere e in cui sperare.
E che poi, udite udite, poteva anche essere che ti chiamassero per un colloquio!
Siiiii! Un cooll-lllo-quiii-o.

E di colloqui oggi vi voglio parlare.
Perchè, almeno per quel che mi riguarda, il colloquio è sempre stato fonte inesauribile di ansia e stress.
Figuriamoci poi quando si parla del PRIMO vero colloquio e, quando questo primo-vero-colloquio lo devi sostenere da Dolce e Gabbana.
Si. Io.
Da Dolce e Gabbana.
Fa già ridere così, lo so.

Ma grazie a dio ero una fresca (e asciutta...) neolaureata, col mio bel vestito di laurea da venditrice di enciclopedie ancora sistemato nell'armadio e via, che il grosso l'avevo già risolto.
Io sui tacchi non ci sono mai stata (credo che la taccazza del boot stile texano non conti quando si parla di veri tacchi, scarpe strette che ti maciullano i piedi e che mettono in discussione la tua capacità di stare in equilibrio -vero- nel mondo che ti circonda), ricordo di aver indossato quelle scarpe alte solo per il giorno della suddetta laurea, ma l'angoscia che mi pervadeva in quelle ore ha fatto si che mi dimenticassi presto del dolore agli arti inferiori del mio corpo.
Ora mi toccava indossarle di nuovo, non solo come un accessorio mentre discuto la mia tesi seduta sulla punta di una sedia imbottita, ma...per CAMMINARE!!!
Immaginate il trauma: essere vestita come non ti sei vestita mai, arrancando su vertiginosi (si, per me erano comunque vertiginosi!) tacchi, ingessata in quella giacca e impaurita dall'ambiente patinato.
Ricordo che riuscì ad accompagnarmi in macchina quella buon'anima di mio padre.
Credo che se fossi andata in treno non avrei mai raggiunto viva la reception.
Ricordo di essere entrata da due gigantesche porte scorrevoli e di essermi subito sentita stra intimorita da questo arredamento minimal tutto in nero lucido.
Mi dicono di accomodarmi e di attendere lì le selezionatrici. "LE"?!?!!
Uhm, occchèèèèi.
Sprofondo goffamente in una poltrona in pelle. Cerco di stare con la schiena dritta ma checccazzzo di fatica! Dritta, Marta! L'ascensore potrebbe aprirsi da un momento all'altro! Stai DRITTA. Noooo! Non così dritta che sembri avere un palo in culo, dritta-giusta!
Le scarpe! Non afflosciare le scarpe ai lati, che ci manca che ti parta un tacco...! Sù con quei talloni!
E fai qualcosa perdio! Che sembri una babbazza! Prendi qualcosa, leggi qualcosa, fai qualcosa!!!
Ma con disinvolura, eh. Che stanno per arrivare.
Quello fu il primo momento-merda di tutta la mia vita da candidata.
Avevo già capito che sarebbe satata dura. Moooolto dura.
Dannati momenti-mmmerda.

L'ascensore si apre, arrivano due tizie tutte in nero, ma sorridenti.
Incrocio le dita e prego di arrivare incolume alla porta dell'ascensore in due falcate.
Ce la faccio, stringo la mano ad entrambe e la porta dell'ascensore si chiude.
Claustrofobia, ansia, senso di inadeguatezza. Il tutto compresso per soli due piani, e meno male...
Quello che segue, ahimè, è solo il primo di una serie di amari rimbalzi che costellano la mia vita da disoccuprecaria.

Sarebbe stato un posto fighissimo, avrei lavorato nella comunicazione, mettendo mano alle pubblicazioni, alla pubblicità e tenendo i contatti con l'America.

Ma poi ho deciso di rifiutare.
Il mio vero sogno è sempre stato quello di aprire un blog che raccontasse rimbalzi e avventure lavorative tragicomiche.
E da lì ho iniziato ad appuntarmele.

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